Oltre il velo sottile

Un giro della ruota dopo l’altro. Un metro dopo l’altro, il ritmo sempre uguale. Il solito percorso, eppure oggi così diverso, immerso in questo caldo come in una vasca che riceve la sua acqua dal sole, oggi così apparentemente impietoso e incurante del nostro mormorare. Non se ne fa niente della temperatura media, lui. A nulla serve sapere da quanto non ci asciugava così, e perché. Esiste per noi, ma ci dimentichiamo che lui sa quel che fa, anche se sembra scottare, e non ci lascia scampo.

Come faccio – sembra dire – a prepararvi per l’inverno se non metto da parte per voi il mio calore nell’estate. Come può il prossimo anno regalarvi nuova vita se non riposa nell’inverno che lo attende con la sua coperta. Non disprezzate la mia presenza ingombrante; non maledite la mia assenza nel freddo che dovrete attraversare. Ricordatevi la gioia della primavera, e il pudore di un autunno che si colora prima di spogliare le piante, perché non si vergognino di dover cedere alla terra le fatiche dell’estate.

Il sellino a cui non sono ancora abituato mi strappa per un momento dai miei pensieri, e mi richiama alla realtà. I pedali vanno da soli, e nemmeno saprei dire perché riesco a stare in equilibrio su questa bicicletta. Il mio corpo l’ha imparata, oppure si è fatto insegnare, chissà; credo si stiano parlando, mentre i giri dei pedali mi portano da qualche parte, purché sia un po’ più in là. Perché se ci si ferma non si sta più in piedi.

Un minuto arriva dopo l’altro, mentre un vento tiepido mi spolvera la mente dai piccoli fatti del giorno; come quel vento che vedo chiacchierare con le cime degli alberi al limitare del prato, così attenti ad ascoltare quello che un’aria mai vista ha sentito nei posti lontani in cui è stata. Storie di vita, odori buoni e meno buoni, semi che non vedi ma che sanno lasciare traccia di sé nel posto in cui decidono di fermarsi. Perché lì dove decidono di riposare nasce qualcosa, e tu non potrai impedirlo; perché loro la conoscono, la vita. E la insegnano con la loro pazienza di crescere, di resistere, di piegarsi, di fare frutto, di spogliarsi di tutto per poi rinascere, di fiorire per la gioia di chi guarda.

Una buca nel terreno mi strappa a questo mondo, che sembra appena più in là, oltre un velo sottile che ci separa dalla realtà delle cose, dalla profondità dello spirito dell’uomo, dall’insondabile delicatezza creatrice di Dio, che ha scelto di nascondersi per non spaventare una creatura fragile, in lotta con se stessa prima ancora che con Lui.

Passo un piccolo stagno che nasconde un minuscolo mondo, fatto di terra, di acqua e di cielo insieme, perché ciascuno di loro manca all’altro se non c’è; non sa la terra a chi regalare i suoi fiori, se non al cielo; non sa l’acqua a chi offrire i suoi umori, se non alla terra; non sa il cielo a chi offrire i suoi doni di luce e di pioggia, se non all’acqua e alla terra. Incuranti di tutto questo, piccole creature ripassano i loro soliti luoghi, quasi a pulire casa, come fanno le mamme, perché sia un posto dove vivere, non solo dove mettersi.

Mi sento osservato da tutta questa vita, che mi circonda e fa a gara per farsi vedere, perché è come con le persone care: non devi darle per scontate. Uno sguardo da oltre quel velo sottile sembra custodire questo fragile mondo che ci ospita; ancora non si è stancato di regalare nuove repliche di uno spettacolo che è iniziato all’origine del tempo. Ancora ci ricorda – con la sua pazienza e fedeltà – che seguire lo spartito di quella musica che è la vita stessa, se scegli le cose giuste, quelle che fanno bene al cuore, crea capolavori quali mai si videro dalla creazione del mondo, perché sono sempre nuovi.

È tempo di rientrare ormai, mentre in punta di piedi esco dalla replica dello spettacolo di oggi. Ma quel mondo oltre il velo sottile – forse solo per un istante – è riuscito a far aprire gli occhi di un’anima, e regalarle un po’ di Luce.

© Scampoli