Il senso del dolore

Stretto in una morsa tra lo stomaco e il cuore, un sospiro che sente solo chi lo vive sale dal cuore, dalla parte più profonda del tuo essere, cercando di capire il senso del dolore, come un fiato di vento, come l’ultimo filo di brezza prima che qualcosa succeda, o forse non succeda per niente; come una raffica di aria arida che asciuga un’anima già secca, o così a me pare. Come un’unghiata di vento freddo che non ti aspetti e che gela il pensiero, la parola, quella speranza. Una cosa per volta o tutte insieme, che fa più male ancora.

Com’è cambiato improvviso il colore del mondo ieri così vario e oggi già dire che è in bianco e nero è tanto; eppure lì fuori tutto continua come al solito, indifferente a me, non si ferma a guardarmi, a chiedermi come sto, cosa penso, perché mi sento così, cosa desidero, perché ho l’impressione di aver ingoiato puntine da disegno insieme con l’aria che mi investe, guarda caso spingendomi indietro lungo la via che mi accompagna a casa, così nota e familiare.

Forse questa strada mi conosce, forse se potesse parlare mi direbbe tante cose, noterebbe il passo diverso, più lento del solito. Oppure più pesante, e capirebbe che che il peso è nel cuore, sofferente per le troppe ferite, che non fai vedere perché hai una dignità da difendere, perché una quasi santa vergogna copre con un velo benigno il tuo mondo interiore che lotta, proteggendolo dalle visite e dalle domande inopportune.

Va tutto bene, sì è stato un weekend tranquillo, mi sono proprio riposato, che bella giornata che era ieri, bellissime le foto della tua grigliata con gli amici vedo che vi siete divertiti. Come piccole foglie appena nate le tue risposte celano un senso di nudità dell’anima, che vuoi proteggere perché è il bene più grande che hai. E non è falsità o doppiezza, perché sei riuscito ad essere davvero contento per loro.

Forse l’occhio esperto di uno di loro ha colto qualcosa, ma invece di notarlo ti rimbocca ancora un po’ di più quelle leggere coperte, portandoti a spasso per altri pensieri e tu le sei grato perché questa si chiama delicatezza e l’hai capito. Così quel vento, quella morsa di gelo e di fuoco si calma un pochino e lascia spazio a una vita che fa ancora un passo avanti verso la sua meta, che mai avrà fine.

Sai che nulla è risolto, o poco, o quasi. Il senso del dolore che abiti non è capito, né sconfitto; ma non ti spieghi quello stato d’animo che pure in mezzo a quel tempo inclemente sembra celare altro, come forma dietro a un velo, come sospiro di vento oltre l’angolo, come sussurro troppo lieve per essere compreso in questo mondo. Non è sempre, né si può dire che è qualche volta, né mai. Semmai, è oltre te stesso, fuori da confini che non vedi, in mani che non conosci ma che vorresti vicine.

Quel giorno, in mezzo ai due ladroni, un carico infinito gravava sulle spalle di quel Dio che accettò di farsi uomo tra gli uomini, osteggiato e rifiutato e schernito da molti, amato e servito da chi solo sa di volerlo; perfettamente uomo, perfettamente libero, seppe fin dall’inizio cosa stava espiando. Scelse di amare chi non lo meritava, ma anche di consolare e guarire dalla mancanza di speranza chi lo cercava a volte senza saperlo.

Dall’alto della sua infinita potenza, vide e contemplò in un attimo lungo come l’eternità l’oceano di dolore di tutte le epoche che furono, che sono, che saranno; quel mare che teneva prigionieri nei suoi gorghi e nei suoi flutti quei figli così teneramente amati e infinitamente voluti, che non poteva lasciare in balìa del male, della sofferenza, del senso del dolore lasciato a se stesso come un fiume senza un mare tra le cui braccia gettarsi.

Fu così che tra i tanti, vide i tuoi piedi leggeri che più lenti del solito portavano un cuore pesante sulla strada verso casa; ferito ma rivestito di una dignità che ai suoi occhi lo fece subito caro, amato e degno della Sua presenza, della Sua carezza, nascosta tra le pieghe di stati d’animo che quell’anima non poteva ancora capire o vedere, ma – forse sì – intuire. “Ti vedo, figlio mio, vedo il tuo cuore, vedo e ora sento su me, come chiodo che trafigge la mia umanità capace solo di sanguinare Amore, tutto ciò che hai dentro, che sei, che provi, che senti o che ricordi. Possiedo tutta la tua storia, e ho accettato questo per essere qui con te, oggi, su questa anonima strada, a guarire ferite che nemmeno tu sai di avere. Non ti preoccupare per Me. Amami se puoi, ti ho fatto per me, so da sempre a cosa sarei andato incontro per te”.

Il sole era già calato dietro i palazzi; il vento aveva cessato i suoi sbuffi feroci; ma nulla traspariva in quella via ordinaria di una città qualunque, percorsa da piedi leggeri che portavano un cuore che non seppe spiegarsi – quel giorno – come mai gli erano venuti in mente pensieri di cielo.

© Scampoli