Lettera a mio Padre

Mio caro Padre, ho letto la tua ultima lettera, e mi ha toccato nel profondo. La prima volta non sono riuscito a leggerla tutta, ho dovuto metterla da parte, e riprenderla più tardi, perché… sì insomma, sono un maschietto e certe cose non le dico. Ma forse a te dovrei; credo sia giunto il tempo che apra il mio cuore a te, e ti dica veramente quel che sento.

Fino a prima della tua lettera, pensavo in fondo di condurre una vita normale, tutto sommato onorabile, fiero delle mie conquiste, piccole o grandi, orgoglioso di quanto riuscito a fare e delle battaglie combattute per i miei ideali e le mie priorità. Sempre in prima linea quando si tratta dei miei diritti, perché le cose quando vanno fatte, si fanno. In fondo non facevo nulla di male.

Quando il giorno dopo ripresi in mano la tua amata lettera, Padre mio, davvero sembrava viva nelle mie mani, mi entrava fino a dove nessuno era mai giunto, qualcosa era cambiato nella notte. Non quella del sonno, ma quella dell’anima. Ora mi sembrava buia. Fredda. Occupata solo di se stessa, dopo essere stata toccata dal tuo dispiacere per me. Non dal tuo rimprovero, bensì dal tuo dolore di non vedermi felice e capace di amare, di stare vicino ai miei cari e di occuparmi di loro, e delle loro necessità di ogni giorno alleviando le loro fatiche e condividendo le loro gioie.

Mi sono scoperto in una vita piena di cose, e vuota di persone. Con il tempo riempito di impegni, ma vuoto di significato. Con un lavoro portato avanti con le unghie e con i denti per far vedere quanto valgo, ma dal sapore di guerra sottile, condotta con la tattica della denigrazione altrui, del pettegolezzo o del tirare a campare. Degli amici sentiti quando ne avevo bisogno io, e non quando potevano averlo loro, che da chissà quanto tempo non sentivano un “come stai” che finiva lì e non continuava con un “già che ti sento potresti…”.

Alla luce del bene che mi vuoi, la mia efficienza è ombra. Al calore della tua premura per me, la mia premura per chi ho vicino è un lago ghiacciato. Sotto il tuo sguardo, le mie conquiste agli occhi degli uomini sono un cibo che domani sarà già avariato.

Mi sono tornate in mente, Padre caro, quelle sere che abbiamo passato insieme. Forse più per iniziativa tua che mia, perché ero troppo occupato a dar retta a chi mi diceva che stare con te è roba da bambini, non da adulti. Eppure quell’atmosfera di casa non la dimentico. Quell’attenzione che avevi per me la ricordo, e riusciva a tirar fuori il meglio di me. Vorrei tanto vederlo ancora questo meglio, mi manca tanto di non sentirmi un po’ migliore.

Ma da solo non riesco. Quando mi propongo qualcosa, sembra che ciò di cui son fatto mi tiri sempre in basso; penso a tutte le volte che ho reagito male con i miei cari, e mi accorgo che anche se sembra facile fare il contrario, al momento buono infierisco col peggio di me. Pensavo di non aver fatto nulla di male, invece non avevo fatto nemmeno un po’ di bene.

Ma ti credo quando mi dici che tu puoi aiutarmi; penso di ricordare la strada di casa, anche se manco da un po’ di tempo, e mi fido davvero delle tue braccia aperte per accogliermi; mi sembra già di vederle, e di vedere te sulla soglia di casa, calda del fuoco della tua accoglienza.

Dio mio sei davvero un buon Padre, se sei disposto a tanto per me. Aspettami, sto arrivando. E se tardo troppo, ti prego vienimi a cercare, perché forse mi sarò perso di nuovo. Ma stavolta vorrò essere trovato.

Tuo figlio

© Scampoli

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