La vita degli altri – 1

L’argomento, la vita degli altri, è quasi tratto da un film che personalmente reputo incredibile, “Le vite degli altri“, che riesce a mescolare quasi ogni tipo di emozione. Almeno per me. Il tono di questi pensieri, invece, è differente, e nasce come sempre da qualcosa che mi ha meravigliato o fatto riflettere.

Pur se è un po’ di tempo che manco da queste parti, il richiamo della foresta non manca di farsi sentire. Molto hanno giocato il caldo e la stanchezza di questo periodo. Ho deciso di andare a braccio, a differenza di altre occasioni in cui preventivamente mi facevo una mappa mentale del sentiero che avrei intrapreso. Quindi non so dove questa traccia mi condurrà.

La riflessione nasce dal mondo dei social network, nei quali in questo istante mi sto muovendo. Terabytes di dati (non più fiumi di inchiostro, ormai) sono stati scritti su questo argomento, e mai credo ci sarà fine; certo è che ognuno si misura nella sua vita con questa realtà, e ciascuno elabora la sua reazione, risposta, comportamento, opinione.

Mi sono ritrovato a chiedermi perché tanta attrattiva esercitano questi ambienti, e perché se ne parla bene o male purché se ne parli. Anche stavolta in me vedo una rispondenza a un bisogno interiore, intimo, nascosto, fondamentale, non sostituibile. E – a mio avviso – sostituito in parte ma non totalmente da questi mezzi.

Prima meraviglia: ciò che scriviamo, “postiamo”, condividiamo, finisce letto o visto da molte più persone di quanto accada nella realtà quotidiana, in cui la parola e il discorso arriva al massimo ai pochi presenti al momento; eppure sentiamo il bisogno di farlo al riparo da occhi indiscreti. Compreso questo passo che sta nascendo sotto i miei occhi, che prima non c’era e ora sì.

Tutto ciò è l’incontro di due bisogni contrapposti: quello di far sapere di sè, perché così so di essere conosciuto, e quello di sapere degli altri, perché senta la loro vita almeno un poco parte della mia; e le loro gesta quotidiane lascino un segno nella mia vita, nella mia giornata. Se poi, come previsto dalla piattaforma, posso addirittura esprimere un consenso a quanto leggo (il famoso “like”), ecco che lascio all’autore un segno del mio passaggio, un apprezzamento, un gesto virtuale col quale faccio sapere che per un momento è stato nel cerchio dei miei pensieri, è entrato con le cose sue a far parte dei miei ricordi. In ultima analisi, dimmi ciò che “posti” e ti dirò chi sei, almeno in parte, e solo per ciò che decido di far sapere.

Si noti bene che chi ha sviluppato questi mezzi ha previsto solo l’azione del “like” e dello “share”, non quelle del “dislike”. Da non trascurare come dettaglio.

L’altra faccia della medaglia è la condivisione di materiale di vario tipo, tramite il quale esprimo il bisogno di far sapere di me. Certo l’abbondanza di condivisioni può essere scambiata per ostentazione, ma di base far sapere (e sperare in un apprezzamento conseguente) ci dice che qualcuno ha notato qualcosa di nostro.

Del resto è lo stesso istinto che mi porta a scrivere del più e del meno, sperando possa servire a qualcosa o a qualcuno; in questo non sono e non mi sento immune dagli stessi meccanismi che ho abbozzato. Uscire dall’anonimato, far sapere di sè, esibire con orgoglio considerazioni e storie personali, emozioni, scampoli di vita vissuta che se tenuti per me è come se non fossero mai esistiti. Forse è questo il punto; lasciare una traccia di sè.

Troppo c’è da dire qui dentro ancora, ci ritoviamo da queste parti tra un po’.

© Scampoli

La vita degli altri