La barca toccò rapidamente la riva

Me lo ricorderò sempre quell’incontro, in una tiepida sera in riva al lago. Quell’uomo mi si affiancò con una tale naturalezza che nemmeno mi chiesi perché con la spiaggia vuota si fosse accomodato di fianco a me. “Mi chiamo Simone”, disse con voce serena, “Vengo adesso da una giornata di pesca; sai, non è semplice il mestiere del pescatore, specie di questi tempi”. Mi chiese come mi chiamassi, cosa facevo da quelle parti così poco frequentate. Nemmeno lo sapesse che avevo bisogno di qualcosa in quel silenzio.

Il viso temprato dal tempo ma buono dell’uomo mi fece più confidente, e mi trovai in breve tempo a raccontargli tante cose, come chi dalla libreria di casa prende volumi sparsi, e inizia a leggere quello che trova. Tanto è tutta vita. Dopo aver attentamente ascoltato, rimase un po’ pensoso, come chi sceglie da una grossa rete i pesci da mostrare. “Mi ricorda un fatto che accadde su questo lago, non molto tempo fa. O forse sì, ma non importa.

“Era notte sulla barca, eravamo stanchi e avevamo il lago agitato. Può essere tremendo, anche se è un lago, sai? Remare sembrava inutile, ma dovevamo farlo perché insieme, anche se ci sentivamo tutti soli in quella condizione, qualcosa magari si può fare”. Fece una pausa, alzando gli occhi al lago come chi ricorda una persona cara. Non ebbi coraggio di interromperlo, tanto ero preso dal clima che si era creato, e che avevo paura di rompere. “Ci aveva detto di andare avanti, e precederlo nell’altra riva.

“Mai avrei immaginato la lezione che avrei imparato in quella notte. Fu faticoso digerirla, ma quanta pace dopo. Quando lo vedemmo venire verso di noi camminando sulle acque ci spaventammo così tanto che dovette fermarsi e rincuorarci – lui, dopo una giornata che aveva conosciuto anche amarezze – perché non perdessimo il controllo della barca. Gli bastò parlare piano per farsi udire da noi in mezzo al frastuono della tempesta. Era come sentirlo direttamente dentro di te.

“Fu allora che feci la sciocchezza. Preso com’ero dal mio carattere impetuoso, fiero e un po’ geloso della predilezione che aveva per me, gli dissi che se voleva che venissi da lui, bastava lo dicesse. E lui lo disse. Con una tale naturalezza che farlo mi sembrò la cosa più banale del mondo. Quello fu il secondo errore. Quando entrai in acqua, mi resi conto subito che stavo lottando con me stesso, e in quel lago c’ero solo io. E il mio piccolo orgoglio che già stava cominciando a farsi sentire più della tempesta. Mi stavano guardando tutti dalla barca.

“A quel punto potevo solo andare avanti. Che figura ci facevo altrimenti? Questo fu l’errore finale. Non potevo competere con quegli elementi, ma che mi era preso. Cominciai ad affondare, con una lentezza e inesorabilità che non lasciavano scampo. Solo dopo ripensai al fatto che in quell’acqua nella quale affondavo io sapevo nuotare. Il mare dell’autosufficienza era ancora più profondo di quel lago, e in quello saper nuotare non basta.

“Ma ancora volevo fare da solo. Fu solo quando un intimo comando mi impose di alzare il capo verso l’alto che lo vidi. Come fosse la prima volta. Quel viso severo non lo scorderò mai. Lui sapeva cosa mi era successo nell’animo. Ma sapeva anche come portarmici fuori da quel mare, solo che lo volessi. Già, come sembra facile dirlo, dopo. Bastava volerlo. Quanto sottostimiamo la realtà potente della nostra volontà, che ha il potere di girare il timone dalla parte giusta. E se non ci riesce, basta che chieda l’aiuto necessario, che non mancherà mai.

“Capii in un istante cosa dovevo fare. Gli chiesi aiuto, tendendo la mano prima così restia ad aprirsi; e l’aiuto arrivò subito, malgrado le mie mancanze. Sentirsi rimproverare dall’Amore fatto persona di aver dubitato fu come sentirsi trapassare il cuore da spine infuocate. Doloroso ma necessario passaggio. Lo prendemmo a bordo, o meglio Lui salì a bordo portandomi praticamente di peso. Solo allora, solo quando mi feci sconfiggere dal suo sguardo buono sempre pronto a rimetterti in piedi, purché disposto a cambiare scelte, vita e decisioni, capii che la barca sarebbe arrivata alla riva dove eravamo diretti senza indugio

“Capisci? Non si trattava di farla approdare in un posto qualunque, cosa che stavamo facendo noi pur di uscire da quell’inferno, ma di farla arrivare lì dove era destinata. È così, amico mio. Da allora ho capito che non serve a nulla farsi belli dei propri meriti, se la conseguenza è di affogarci dentro. Come pure che occorre salirci, sulla tua barca, ed aver fiducia che ti porterà esattamente dove devi andare. Anche se sembra fragile, in mezzo a quei flutti. Scusami, amico mio, se ti ho annoiato con le mie sconfitte, ma oggi avevo voglia di dirlo a qualcuno.”

Simone, detto Pietro, mi salutò con affetto, perché ora doveva proprio andare, e si allontanò dalla riva del lago di Genesaret, diretto verso il paesello sulla riva. Rimasi a lungo a ripensare a quel racconto, che aveva seminato in me qualcosa che nel tempo sarebbe cresciuto. Come mi appariva differente ora la mia piccola barca, con tutte le persone dentro, visi noti e cari, preziosi tutti come piccole perle. Dovevo ritornare a bordo. Ma con una persona in più. Solo che voleva essere desiderato; non rimane mai se non è voluto.

Così è nella vita: bisognerà pur dirlo alle persone care, a coloro cui vogliamo bene, che li vogliamo nella barca, altrimenti che senso ha rimanerci. E nemmeno devono preoccuparsi loro di tenere la rotta; è il timoniere che provvede. Mentre pensavo a questo, risalendo sulla mia barca con la quale ero approdato per cercare rifugio dal vento, ricordavo quello che mi aveva detto Simone, quando il Maestro aveva preso le sue mani nelle proprie. Forti e gentili, aveva detto. Ora non ero più solo su quella piccola barchetta, sulla quale due occhi buoni, e un sorriso appena accennato, mi rivolgevano un silenzioso ma potente incoraggiamento. La barca aveva già preso la rotta giusta.

© Scampoli