Il solito ferragosto

Quest’anno ferragosto mi ha sopreso in città, quasi in partenza ma non per molto tempo, perché la propria casa ha sempre un sapore particolare, mi allunga subito la mano per ogni bisogno, quasi già sapesse quel che mi serve. Tranquilla casetta mia, non sarà per molto.

Solennità dell’Assunzione in cielo anima e corpo di Maria, Madre di Gesù, dice la liturgia, a ricordarci ciò per cui siamo stati pensati. Ferragosto, risponde il resto del mondo. Semplicemente oggi, e quindi giornata unica di per sè e irripetibile.

Cammino lungo le strade non troppo vuote di una città che come bambino capriccioso da un po’ di anni non vuole più fare il sonnellino in questo mese, e si ostina sempre più a voler stare sveglia, quasi temesse di perdersi un pezzo di vita. Come noi da piccoli, per cui il sonnellino era la certezza interiore di perdere almeno un paio d’ore di gioco.

Ma si vede che questa città in questo ferragosto un pochino ha gli occhietti cisposi, di chi ha sonno ma non vuole fare la nanna. Un micio in un giardino interno guarda perplesso gli umani rimasti, un po’ incerto se tollerare questi animali domestici che gli danno anche da vivere; nel frattempo si mette in posa, la coda arrotolate ben bene attorno al corpo, con lo sguardo fisso ad un livello di realtà a noi negato.

Un bar chiuso ostenta perentorio il suo periodo di ferie, ma già un’orecchia del cartello così baldanzoso inizialmente ha perso il suo vigore, e la pioggia recente lo fa assomigliare all’orecchia di un cocker a penzoloni. Tanto si capisce che è chiuso.

L’aria sospesa di una mattina un po’ più fresca delle altre mi dice che oggi è una giornata diversa, e nel mentre e ricordarmelo il vento mi porta i rintocchi oggi così nitidi delle campane a festa. Proprio quelle che di solito non potrei mai sentire, che vengono così da lontano. Curioso come il silenzio accorci le distanze, e ci aiuti a ricordare che c’è dell’altro qualche via più in là.

Il fischio di un treno che passa per una stazione lontana; chi l’avrebbe mai detto. E mi viene da pensare alle anime che lo abitano in questo momento, in questo ferragosto che forse sperano possa accompagnarli in una giornata bella per sè e per chi si ha vicino. E penso a chi qualcuno vicino non lo ha. Perso o lontano fa differenza, ma alla fine sempliemente oggi non c’è.

L’operosità orientale anima qualche esercizio commerciale, offrendo servizi a volte utili a volte semplicemente aperti. Ma nel mio intino non posso non essere grato a tutte queste persone che anche oggi con il loro lavoro è come se carezzassero un micio sotto il muso. Ci vuole un attimo perché si metta in posa e allungando in avanti la testa ci inviti a nuove carezze; così la gente riempie i pochi posti aperti, e sembriamo tanti.

Perché le nostre città sono così; ostentano sicurezza quando siamo tutti, ma si dimostrano così fragili e quasi si dispiacciono di non poter offrire di più quando le poche anime che le abitano camminano per le loro vene, arterie e capillari.

Il carrello di una signora con la spesa necessaria; un corvo sull’antenna di fronte a far gorgheggi improbabili; un motorino che vuole farsi sentire fino all’estremità della città; le non poche finestre aperte su un mondo interno con le sue storie; le nuvole che di lontano ci promettono che stanno lavorando per noi, a prepararci una pioggia buona che faccia sorridere il cuore con il suo profumo di terra smossa.

© Scampoli

Il solito ferragosto