Dire ma non ferire

Saper dire le cose senza ferire chi ci sta davanti è un’arte antica, e come nei libri di storia le pagine sono piene di guerre, rappresaglie, periodi di pace, vittorie, trattati e sodalizi.

A differenza del sapere e delle capacità tecniche che possono essere tramandate e apprese da chi viene dopo di noi, quest’arte malgrado l’antichità del genere umano non si è mai riusciti a farla imparare a chi è venuto dopo.

Ciascuno di noi ricomincia da capo e succede che si ripetono, di generazione in generazione, i medesimi errori. Potrebbe essere proprio per la differente natura di ciò che può essere realmente tramandato, rispetto a quel che può essere solo appreso. Anche in quest’ultimo caso, l’apprendimento è esclusivamente su base volontaria. Come dire che alla base c’è una “opzione fondamentale” che al momento buono farà accendere una spia al raggiungimento del livello di soglia in un dialogo a due. Oppure no; la spia quindi rimarrà spenta oppure verrà ignorata, che è peggio.

Se guardo in me e cerco di capire cosa si muove dentro quando il dialogo segue questo delicato sentiero in bilico tra indifferenza e prevaricazione, mi rendo conto che dire senza ferire richiede impegno interiore ed esteriore, disposizione d’animo e benevolenza, fiducia, calma, capacità di ascolto, ordine nell’esposizione, ma soprattutto intenzionalità nel voler tenere aperto il canale radio tra i due.

E non dimentichiamoci dei due livelli su cui si muove il dialogo: molti sono caduti sotto le conseguenze del linguaggio non verbale (qui, a mio avviso uno spunto interessante).  Il primo equivoco sta in questo, dato che le parole assumono in noi il significato pari alla somma delle parole e della disposizione di chi parla, che nella postura, nel tono, nei gesti, rischia di mandare segnali contrastanti. Quest’ultima parte predomina generalmente sulla prima, e può benissimo eclissarla o contraddirla. Ma è di fatto quella cui si dà più retta.

Dire senza ferire, quindi, è una virtù che con il tempo e i fallimenti lentamente possiamo metabolizzare; mai data una volta per tutte. Così come può essere appresa, può essere rapidamente dimenticata. Quando però questo piccolo fiore del dialogo riesce a sbocciare, è tutta una sintonia: il corpo esprime con le sue mosse calme quell’intenzionalità positiva che viene ricevuta da chi ci ascolta; tenersi per mano per dimostrare la volontà di vicinanza; costanza nel correggere con un tono dai decibel limitati ciò che ci rendiamo conto che non è stato capito correttamente; coinvolgimento di chi ci ascolta per farlo sentire partecipe con i suoi stati d’animo prima che con le sue opinioni; feed-back su quanto pensiamo di aver capito.

L’impegno certo non è trascurabile, ma la soddisfazione di guardare negli occhi chi ci sta davanti, e vedere una luce nuova mista alla gratitudine per essersi sentiti ascoltati o per essere riusciti a far capire quella cosa, non può che far crescere entrambi.

© Scampoli

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