Quel che segue sembra a tinte scure, ma non lo è. Non so perché è uscito ora, avrà le sue ragioni.
Ho imparato a camminare nelle sue mani, ma poi ci ha lasciati andare avanti da soli, me e la mamma. Non ha potuto scegliere.
Ho cominciato a giocare con i soldatini, ma non c’era lui dietro le montagne nemiche. Ho costruito di tutto con il cartoncino, ma non era lui il mio project manager.
Ho sbuffato a fare i compiti e faticato a fare i costosissimi temini su cosa ho fatto ieri, o in ferie, o in gita, ma non c’era il mio tutor preferito. Mi sono sbucciato le ginocchia, ma non ho avuto vicino il mio medico del cuore che mi avrebbe invitato a fare l’ometto.
Ho imparato ad andare in bicicletta, ma erano di altri le mani che reggevano il sellino; quelle mani mi sono mancate. Ho cominciato a crescere, e non c’era il mio buttafuori degli stati d’animo a scrollarmi dalle consuete paturnie adolescenziali.
Ho terminato il mio corso di studi, ma non ho avuto chi alla fine mi stringesse in un paterno maschio abbraccio; né mia madre ha potuto avere chi la prendesse in giro per le lacrimucce sfuggite al controllo.
Ho iniziato a lavorare, ma non c’era il mio manager privato ad aprirmi gli occhi per tempo sulle difficoltà di quel mondo.
Non so Signore perché hai chiamato un padre e un marito così presto al suo destino eterno, ma so che da allora è al suo posto. Per sempre.
© Scampoli