Il gatto con la panchina

Una passeggiata in montagna, un gatto solitario che mi ha risvegliato cose qui dentro. Dicono sia un amico del passero solitario di leopardiana memoria. Non è irriverenza, solo contemplazione di pari dignità, e non faccio fatica a crederlo.

Come lui, dalla cima della sua antica panchina sorveglia il mondo che lo circonda. È stato come accorgersi per suo tramite; vedere il mondo riflesso da lui.

Ha preparato l’ascesa alla panchina con cura; dal bordo della strada tastando con attenzione l’erba del prato in cui voleva entrare per raggiungere l’avamposto. Bagnata; eh già, è piovuto. Scuote con vigore la zampina, tutto ma l’acqua no. Passando per una posa plastica che sembra la preparazione della mossa del dragone di kung fu, con un salto preciso, ma solo quanto basta, atterra oltre l’ostacolo.

Salvo. Piccolo sforzo, qualche metro, ultimo balzo sul legno umido di pioggia della panchina che un falegname costruì senza sapere quale dignità vi si sarebbe posata sopra. Arrivato. Ora la procedura del manuale del gatto perfetto prevede nell’ordine: fare un giro completo di esplorazione del tavolato, stiracchiata vigorosa che sembra una frenata con le zampe davanti puntate nemmeno stesse andando a folle velocità, strofinamento del muso contro il bordo dello schienale perché i baffi vanno sempre lisciati, posizionamento sulle zampe posteriori, flessione della coda che deve  essere rigorosamente avvolta… No, questa volta no.

E al termine di tutto questo, vissuto con l’intensità della prima e ultima volta, uno sguardo all’umano che gli sta di fronte. Ma non saprai mai cosa c’è in quello sguardo.

Sentirsi circondati dalla vita, accorgersi di un mondo che vuole dirci un sacco di cose solo che vogliamo starlo a sentire. Anche attraverso un gatto con la coda che ha una gran voglia di assomigliare a quella di uno scoiattolo tanto è voluminosa.

Una semplice passeggiata in montagna, si è trasformata in un grazie per ogni passo che ho potuto fare, e per lo sguardo che una creatura – ignara della mia vita e dei miei desideri, della mia provenienza e del mio destino -si è degnata di rivolgermi per ricordarmi che anche oggi è un giorno regalato, e che la foto gliel’ho potuta fare solo per sua gentile concessione.

E mentre mi allontanavo dal gatto con la panchina già pensando a quel che mi suscitava, mi portavo dentro il suo sguardo, che sembrava volesse ricordarmi che quello che conta lo vede solo il cuore. Gli occhi vedono solo un prato con una panchina, e sopra un gatto qualunque di passaggio.

© Scampoli

Il gatto con la panchina