Il Drago

I miei sogni di bambino neanche Trenitalia. Un fascino infinito che mi ha messo radici, perché questi bestioni lo sanno tutti che hanno la vita dentro. La loro, e quella dei macchinisti, capotreno e passeggeri (no, ti prego, voce dell’annuncio, non chiamarci “clienti” che fa strano, perché noi non abbiamo scelta, i clienti sì). E il drago di ferro ed elettricità con la tartaruga tatuata sulla motrice (cari miei, profetici…) chissà perché sbuffa solo quando passi di fianco. Dopodiché il silenzio, perché secondo me gli sfiati pneumatici fanno un milione di decibel, e le orecchie per un po’ vanno in ferie.

E su, in alto (tu bimbo vedi il macchinista sopra una torre) l’omino che ti ricorda Aktarus dentro Goldrake fa magici gesti, e i muscoli d’acciaio tirano con fierezza centinaia di passeggeri, più e più veloce, quasi fieri di sé, che sembrano dire “vi porto io a casa“.

E vorresti essere a bordo di quell’astronave che si allontana a ritmo di binari. E quella volta che sei su, il paesaggio scappa sempre più rapido, e vedi il mondo visto da dietro, con cortili e orti e panni stesi e campagna e case e abitanti e macchine dimenticate e rifugi di fortuna. E ti viene in mente il riavvolgimento veloce delle videocassette VHS. Tanto il finale lo conosci già.

Ma il drago non indulge alla velocità, perché già la stazione è vicina. Il rumore cambia, diventa un sibilo basso mentre ti senti schiacciato sullo schienale del sedile, ma poco, perché il drago ti rispetta. Ma perché soffre così tanto quando si ferma, tanto che i freni sembrano il gemito di un animale ferito? Mi sa che si stava divertendo tanto, e gli abbiamo rovinato il gioco.

E quando scendi in un mondo nuovo, pieno di altri odori che non la partenza, vedi tutte le vite degli altri e ti sembra di sentire il respiro dei loro pensieri, prima di prendere la strada di casa, e tornare nella realtà.

© Scampoli