Globalizzazione diversità e uniformità – 1

Ho l’impressione che ultimamente la globalizzazione che ci vogliono propinare assomigli più a un livellamento che non a una scoperta delle diversità. Come si dice in questi casi, mo’ mi spiego.

Sono nato in un’epoca in cui la nascente comunità europea era vista come antidoto ai nostri italici difetti di pressapochissmo, aggiramento delle regole e burocratizzazione estrema. Un mondo più  felice, dove finalmente stare tutti quanti insieme all’ombra di una buona globalizzazione dopo un secolo che in Europa aveva visto due guerre mondiali e ben più guerre locali. Nel consesso dei saggi europei avremmo potuto esprimere il meglio di noi stessi, perché sicuramente qualcuno (chi?) avrebbe mandato il meglio a guidare le nostre sorti, per condurci verso la terra promessa.

Globalizzazione uniformità e diversitàHo trovato qui un bellissimo articolo sulla storia di questo cammino che ci ha portati oggi all’Unione Europea. Vista così tutta d’un fiato, tale storia assume i contorni di un cammino di grande respiro, cominciato con l’unificazione del mercato del carbone e dell’acciaio, e terminato con l’unificazione economica (meno) e monetaria (più). Da quanto vedo come cittadino la parte economica è più impositiva che altro, e quella monetaria di natura fondamentalmente bancaria.

In tutto ciò non ho trovato menzione da nessuna parte di tradizioni, valori, culture, fedi religiose, storia, arte, letteratura, creatività, filosofia di vita e di pensiero. Ricordo che si è tentato di fare menzione negli atti della costituzione europea della tradizione religiosa che nei secoli ha formato in noi una visione dell’uomo e della storia come creatura artefice e responsabile in prima persona del proprio destino, conscia di vivere in una storia che non è un ciclico ripetersi di vite o di eventi, figli di un cieco destino oppure ostaggi di divinità che si curavano più di loro stesse che di noi. Di questa menzione storica e spirituale, nell’epoca della globalizzazione non ho più sentito nulla, né trovato traccia da nessuna parte. Assomiglia molto all’atteggiamento di chi disprezza il piatto in cui ha mangiato per secoli.

Trovo che intendere l’essere umano come colui che è stato messo in questo creato perché lo coltivasse e lo custodisse, contribuisca a un senso di responsabilità e – perché no – fierezza personale; slegando la storia da una visione ciclica, in cui tutto si ripete indipendentemente dai propri sforzi, e proiettando l’individuo in una dimensione lineare, in cui esiste un presente che passa una volta sola, del quale si risponde in prima persona.

Ben più cose di quante pensassi mi sono rimaste da dire; anche in questo caso, ci dobbiamo risentire…

(to be continued – parte 2)

© Scampoli

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